La vita

La vita

 

Lorena D’Alessandro nacque il 20 Novembre 1964 alla Rustica, una borgata alla periferia est di Roma, primogenita di Giovanni, dipendente delle Ferrovie dello Stato, e di Alba Avalle, casalinga.
Dopo Lorena nacquero Antonio, il 12 Dicembre 1966, e Simon, il 6 Marzo 1970.

LA PARROCCHIA

Il 12 Giugno 1962 era sorta nel quartiere la parrocchia, una piccola chiesa costruita dai parrocchiani e dedicata a San Massimo vescovo. Presto i parrocchiani fecero richiesta al vicariato di una chiesa più grande, perché la popolazione aumentava.

Nel 1966 la Polonia celebrò il “Millennio cristiano”. In tale occasione il cardinale primate Wisinski, in una udienza di papa Polo VI, si lamentò che nella diocesi di Roma non ci fosenessuna chiesa dedicata a Nostra Signora di Czestochowa, patrona della Polona, e il santo padre, informato dei progetti delle nuove chiese, scelse quella della Rustica per dedicarla alla Madonna Nera.
Così, nel 1972 la parrocchia cambiò titolo e, con la partecipazione di molti vescovi polacchi tra i quali l’allora cardinale Wojtila, fu benedetta la nuova chiesa.
Il 14 Ottobre 1974 la parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa fu affidata dal cardinal vicario Ugo Poletti alla Congregazione dei Padri Benedettini Silvestrini, e fu nominato il nuovo parroco nella persona di Don Ugo Peressin. Allora la parrocchia contava circa 8.000 fedeli.
Questo è l’ambiente in cui è vissuta e cresciuta Lorena. Qui ha frequentato la scuola elementare con ottimi risultati poi confermati alle scuole medie e superiori dove è arrivata a frequentare la prima liceo presso il liceo classico Pilo Albertelli di Roma.

In parrocchia si preparò a ricevere la prima comunione, il primo Maggio 1974, e la cresima, l’8 Maggio 1976.
L’ambiente della famiglia era sano e onesto ma non si frequentava molto la chiesa, come ha ammesso mamma Alba nella sua deposizione per il processo diocesano: «Ora racconto con molta rassegnazione, ma allora, da quando si scoprì la malattia, e anche prima, ero molto lontana dalla Chiesa, dal Signore e da tutto ciò che poteva portarmi a Lui». Quindi l’educazione religiosa Lorena l’ha appresa solo dalla parrocchia.

L’INFANZIA E LA SCOPERTA DELLA MALATTIA
La scoperta del male che la accompagnerà fino alla morte rappresenta senza dubbio un momento cruciale nella vita di Lorena che successivamente ella stessa chiamerà sul suo diario con sorprendente e lucida maturità “suo calvario”.

L’infanzia di Lorena trascorse senza grandi problemi fino all’età di 10 anni. 

Nel 1974 mentre la famiglia si trovava Lavinio, dove possedeva un piccolo appartamento per le vacanze, i genitori notarono sulla gamba sinistra di Lorena, all’altezza della tibia, uno strano gonfiore che, a un primo esame medico, sembrò solo una normale botta ricevuta, forse giocando. Aumentando il gonfiore i genitori cominciarono a preoccuparsi e quindi chiesero un esame radiologico. Si trattava di un tumore osseo. Lorena lesse nell’espressione del volto del medico e dei genitori che doveva trattarsi di cosa seria e fu lei stessa che ruppe il silenzio chiedendo: «Dottore, è un tumore?». Infatti annota nel diario: «Comincia da qui il mio Calvario, fatto di gesso, operazioni, anestesie e dolori …!». Il primo tentativo della scienza medica fu quello di un trapianto osseo il 26 settembre 1974.

L’intervento, che la terrà immobile per ben tre mesi, diventò per Lorena un grande momento di crescita e maturazione anche umana: nacque in lei una grande nostalgia per i compagni di classe con i quali comunicava tramite telefono o con letterine affettuose. Lorena si rimise comunque bene in salute e fu iscritta alle scuole medie private delle Suore Madonna della Neve a Tor Sapienza. Ma un’altra grande prova l’attendeva.

Nel Luglio del 1976 la famiglia D’Alessandro si trovava di nuovo a trascorrere le vacanze nella casa di Lavinio. Ancora una volta i genitori, sempre attenti alla salute della figlia ormai minata dal terribile male, notarono un gonfiore sulla vecchia ferita. Si corse a Roma, e  gli esami clinici in un primo momento tranquillizzarono un po’ tutti: doveva essere asportato solo il chiodo applicato nell’operazione precedente che stava spingendo procurando quel gonfiore; si poteva tranquillamente estrarlo con un semplice intervento chirurgico. Lorena venne ricoverata di nuovo al Policlinico Gemelli e il 9 Luglio fu sottoposta all’operazione.

Ma l’intervento non si rivelò così semplice. L’equipe chirurgica scoprì che il gonfiore non era procurato dal chiodo, bensì da un tumore e, mentre la paziente era ancora sotto anestesia, vennero interpellati i genitori per procedere all’amputazione della gamba, sempre nel tentativo di eliminare la metastasi. Giovanni e Alba dovettero prendere in fretta una decisione. Alba dirà nel processo diocesano: «Dovemmo, io e mio marito, decidere di amputare la gamba, come suggerivano i dottori, nella speranza di eliminare il tumore e salvarle la vita. Fu per noi una decisione molto dolorosa».

Uscita dalla sala operatoria Lorena era ancora in stato confusionale, venne posta nel suo letto: le era accanto solo Giovanni, il papà, mentre la mamma stava piangendo nel corridoio. Quando il papà si accorse che si stava risvegliando si curvò sul letto e cercò di farle capire l’esito dell’intervento trattenendo a stento il singhiozzo. Lorena, resasi conto che le mancava ‘arto sinistro, smarrì temporaneamente la fortezza dimostrata in precedenza e gridò: «Rivoglio la mia gamba!». Fu un istante. Giovanni cercò di calmarla, motivando che fuori c’era la mamma. Quanto sentì pronunciare il dolce nome di mamma Lorena si calmò e si affrettò a rassicurarla: «Mamma, non ti preoccupare, non è nulla, metterò una gamba di legno e potrò camminare ugualmente». Nella sua deposizione la mamma dirà: «Non so ancora oggi spiegarmi come Lorena accettò tutto questo, io mi ribellai tremendamente. Era lei che consolava me, il papà e tutti, e per ognuno aveva una parola di speranza e di fiducia. Ci diceva: “State tranquilli, sono sempre la stessa, sto bene, farò tutto ugualmente anche con una gamba ortopedica».

L’infermiera del reparto raccontò che mentre Lorena era convalescente al Policlinico Gemelli, era diventata la mascotte del reparto. Con la carrozzella girava per i corridoi, si avvicinava ai degenti e per tutti aveva una parola di conforto e di gioia e molti la chiamavano per trascorrere con lei dei momenti di sollievo. Alla sera era lei che portava la camomilla e dava, con un dolce sorriso, la buona notte. Accoglieva con gioia parenti e amici che venivano a visitarla.

IL CATECHISMO, GLI AMICI E GLI ANNI DEL LICEO

Rimessasi dopo l’amputazione, cominciò a frequentare la parrocchia di Nostra Signora di Czestochowa. Ha dichiarato a tal proposito un teste al processo:«Lorena frequentava la parrocchia con autentico ardore nel servizio; ripeteva spesso che poter comunicare ai bambini la fede in Gesù era la cosa più bella che potesse fare; spesso i genitori le rimproveravano di passare troppo tempo in parrocchia, temendo che questo potesse incidere negativamente sul suo stato di salute, ma le cercava in tutti i modo di poter servire il Signore i parrocchia». Iniziò il suo cammino spirituale con una maturità superiore alla sua età. Partecipò a gruppo di ragazzi del dopo cresima, impegnandosi in prima persona ad animarlo. Il gruppo si chiamava “Amicizia” ed era guidato da Vincenzo, un giovane monaco, studente di teologia, che partecipava alle attività parrocchiali per prepararsi alla futura vita sacerdotale e pastorale. Lorena si aggregò anche al gruppo degli allievi catechisti. Aveva fretta e chiese con insistenza al parroco di fare catechesi ai fanciulli. Con una certa titubanza da parte di don Ugo, le venne affidato un gruppo che si preparava alla prima comunione. Lorena era pienamente consapevole della sua malattia perciò aveva fretta, finché lo poteva fare, di rendersi utile. Era felice e si impegnò sommamente soprattutto amando quei fanciulli. Disse don Ugo nella deposizione processuale: «Gli anni dal 1976 al 1981 sono stati molto intensi per Lorena, aveva fretta di fare, di rendersi utile; sapeva bene che da un momento all’altro poteva manifestarsi nuovamente il terribile male; aveva quasi un presentimento che la sua vita avrebbe avuto un breve corso. Era molto stimata dai suoi coetanei, che la ammiravano per il suo coraggio, per l sua disponibilità e capacità di amicizia». Mentre era molto impegnata in parrocchia scrisse il suo diario, breve ma importante che comprende il  1980, l’anno in cui era giunta all’apice della sua formazione e dei suoi impegni pastorali e scolastici. Quando scriveva, Lorena frequentava il V ginnasio, aveva 16 anni, era un’adolescente come età ma un'”anziana”  per la molta esperienza di dolore che aveva sulle spalle. In esso traspare l’importanza fondamentale che per lei aveva assunto il valore dell’amicizia, che coltivava in parrocchia, nella comunità dei catechisti, e con i compagni di scuola del liceo classico Pilo Albertelli di Roma. Dalla spontaneità  delle parole di Lorena, che non nasconde i momenti di crisi o le piccole quotidiane incomprensioni e difficoltà, traspare tutto il suo impegno per l’edificazione di una comunità di amici che camminino insieme in comunione di intenti. In questo periodo Lorena manifesta il desiderio di laurearsi in medicina per partire missionaria e curare i sofferenti, soprattutto i bambini. Così appunta nel diario: «Voglio partire missionaria. Andare da chi può avere bisogno di me. Il mio sguardo è la dove i bimbi muoiono aspettando forse anche il mio aiuto!».

LORENA A LOURDES

Sempre nel 1980, tra Luglio e Agosto, il COR (centro oratori romani) organizzò un pellegrinaggio a Lourdes. I genitori erano contrari alla sua partecipazione al pellegrinaggio, Lorena ricorse alla intercessione del parroco perché li convincesse a lasciarla partire. Il parroco riuscì ad ottenere il desiderato permesso. Viaggiò di notte insieme gli altri su un treno sprovvisto di vagone letto e cuccette, non ebbe quindi occasione di potersi liberare come, come normalmente faceva ogni sera, del tutore protettivo della parte amputata. Le amiche con le quali fece il pellegrinaggio raccontarono poi che Lorena dimostrò una grande vitalità e che era animata da una grande fiducia. Essendo il gruppo alloggiato a 3 chilometri da Lourdes, Lorena coprì la distanza più volte a piedi. Non si tolse mai la protesi perché temeva che le amiche si potessero impressionare, per cui ritornò a casa con molte piaghe. Quando fece il bagno nella piscina, alcune sue amiche, senza rendersene conto, si ritrovarono inginocchiate. E quando Lorena uscì dall’acqua sembrava trasformata, chiese di andare alla grotta della Madonna, dove restò in preghiera per parecchio tempo.

Nel pellegrinaggio a Lourdes tutti i suoi amici pellegrini si accorsero che aveva subito una trasformazione: appariva più seria, più impegnata, senza però perdere il suo humor. Lorena sapeva bene che l’amputazione della gamba era stato un tentativo medico per eliminare il diffondersi del tumore: i medici del Gemelliavevano prlato chiaramente ai genitori, prima, e poi anche a lei stessa.

IL RITORNO DELLA MALATTIA E LA MORTE

Nell’ambiente intorno a Lorena aumentava la speranza che il male non si sarebbe ripresentato… Invece, verso la metà di Gennaio del 1981, uscendo da un negozio ebbe una fortissima emottisi, . Nuove visite mediche ed esami radiologici diedero l’inappellabile sentenza: tre mesi di vita. I genitori non vollero ricoverarla in ospedale, preferirono assisterla a casa. Si tentò una cura omeopatica, ci fu qualche segno di miglioramento, ma lei stessa, a chi glielo faceva notare, ripeteva serenamente: «I medici capiscono poco: io muoio!». Anche sa la malattia le impediva di frequentare la scuola e di tenere gli incontri con i suoi fanciulli, frequentava ugualmente la parrocchia, partecipando agli incontri di preghiera dei catechisti, oltre che alla santa messa, fino al 19 Marzo, giorno in cui ebbe uno svenimento. Fu il segno che doveva ritirarsi completamente accontentandosi di ricevere l’Eucaristia a casa.

Il 3 Aprile 1981 volò in cielo alle ore 22,10.

Il funerale di Lorena fu celebrato nel pomeriggio del 4 Aprile 1981 nella sua parrocchia, con grandissima partecipazione di folla. La presenza degli abitanti della borgata fu talmente considerevole che alcune persone, non riuscendo a entrare in chiesa, rimasero sulla piazza antistante cercando di ascoltare la messa. Ci fu grande stupore alla lettura, durante la celebrazione, del suo testamento spirituale (CLICC A QUI PER LEGGERE IL TESTAMENTO). Rispettando la sua volontà la cerimonia fu gioiosa. Del resto la vicenda umana di Lorena è stata un’esperienza di gioia e di vita. Lei era molto più gioiosa di tanti sani adolescenti di oggi, e lo è rimasta anche quando ha avuto consapevolezza della malattia.

Inizialmente posta nel cimitero di Prima Porta, la salma della serva di Dio è stata trasferita nella chiesa della sua parrocchia il 20 Novembre 2004, giorno del suo compleanno.